Tra Feci, Pentacoli e Fede: The Binding of Isaac


Il rapporto tra videogiochi e religioni non è esattamente dei più consolidati.
Certo, in tutta la storia videoludica non sono mancati esempi di titoli che hanno reso centrale questa tematica ma, nel contesto generale, rappresentano più piacevoli eccezioni che altro e in linea di massima l’argomento è ancora abbastanza tabù.

Ci sono giochi, e ci riferiamo principalmente ai giochi di ruolo, che inscenano una cultura e una tradizione propria, infilandoci nel mucchio anche religioni, pseudo-religioni, sette e culti vari che introducono il giocatore ad una dimensione di sacralità digitale ma, nel 99,99% dei casi, ci si riferisce perlopiù a rivisitazioni e rifacimenti, sfociando talvolta persino nello scimmiottamento delle dottrine di base di orientamenti religiosi davvero esistenti.
Per farla breve, capita assai raramente che l’elemento sacro in un dato gioco faccia riferimento diretto ad una delle religioni principali praticate ad oggi (Kratos e compagni non valgono, furbetti…), preferendo inventare personaggi divini inediti più o meno ispirati ad esse.
Un giorno, però, il signor Edmund McMillen si alza dal letto e decide che realizzare una versione alternativa del racconto biblico di Isacco fosse cosa buona. Aveva ragione!

Non vi fa tenerezza? Povero cucciolo...


Ora, chiariamoci. The Binding of Isaac non è proprio il titolo che si gioca se si cerca una trama profonda e ben sceneggiata. Una storia di base c’è, ma oltre ad essere volutamente fumosa e più contorta di un apparato intestinale, è più un impasto ignorante di simboli, situazioni, personaggi e riferimenti più o meno precisi; il che è un bene, ovviamente: è dai tempi della prima superiore in cui eravamo dei piccoli metalhead brufolosi che sognavamo di sparare lacrime mortali indossando la testa di Baphomet!

Ma andiamo con ordine. Isaac è un tenero bambino a cui, come tutti i bambini, interessa soltanto giocare e divertirsi. Sua madre, fanatica religiosa, passa le giornate a guardare un programma cristiano alla Tv, fin quando Dio non decide di mettersi in contatto con lei per mettere alla prova la sua fede.
Nonostante inizialmente le richieste dell’altissimo si limitassero a purificare Isaac dal male del mondo (cosa tradottasi nel sequestro da parte della madre di giocattoli e vestiti con annessa reclusione del piccolo nella sua stanza), le richieste di Dio arrivano ben presto a chiedere un sacrificio umano, spingendo la madre di Isaac a irrompere in camera sua con un coltello.
Fortunatamente, il nostro eroe si accorge che il pavimento della camera nasconde una botola (!), in cui non può fare a meno di tuffarsi per sfuggire dalle grinfie della madre.
Da qui in poi sarà tutto un addentrarsi sempre più nelle profondità dei sotterranei della casa (tanto da domandarsi chi diavolo fosse l’architetto che la progettò), fino ad arrivare in posti tanto strani quanto affascinanti ed inquietanti.

Un classica giornata tipo nel mondo di Isaac.


Volendo trovare un genere di riferimento a The Binding of Isaac, si può dire che abbracci in più punti il gameplay tipico dei roguelike, con miriadi di posti, oggetti e situazioni generati proceduralmente, fondendolo con una sorta di shooter d’altri tempi.
In soldoni, ogni livello del gioco è composto da varie stanze generate casualmente che presentano sempre un boss di fine area, eliminato il quale troveremo un’ulteriore botola che ci permetterà di scendere di un altro piano e affrontare il livello successivo. Per muoverci tra le varie stanze, fino a raggiungere quella finale, sarà necessario eliminare tutti i nemici presenti, semplicemente facendo fuoco in una delle quattro direzioni principali.
È tutto sommato semplice l’idea di fondo del titolo, ma la sua realizzazione è costellata di tante piccole cose che la rendono assai assuefacente e ricchissima di possibilità.

Poteva forse mancare LUI? È dai tempi del primo Doom che non ci dà tregua...


La peculiarità che tutto, dalla conformazione dei livelli ai power-up ai nemici che incontreremo (siano essi avversari comuni o boss), sia generato in maniera casuale rende ogni partita profondamente diversa da quella precedente.
Il fatto che i potenziamenti (ma sarebbe meglio dire “modificatori”, dal momento che molti oggetti forniscono al giocatore dei malus invece che dei power-up), siano centinaia e centinaia e che, in più, siano anche concatenabili tra loro, apre le porte ad uno scenario sterminato.
Ad inizio partita sarà impossibile da prevedere ma, partendo dal personaggio base, in grado di sparare lacrime a mo’ di proiettile sulle quattro direzioni, potremo finire con l’avere un personaggio con un vistoso carcinoma in testa che rigurgita vomito putrescente sui nemici o uno con dei lineamenti bizzarri in grado di sputare chiodi, sempre che nel mentre non si abbia trovato uno strano aggeggio in grado di farci sparare laser dall’occhio.
Se a questo aggiungiamo il fatto che ci sono vari personaggi giocabili, ognuno con le proprie peculiarità, la ricetta per la varietà estrema è servita.

The Binding of Isaac è semplicemente uno dei più coinvolgenti indie arcade che la storia recente conosca.
Dalla sua uscita originale ne è passata di acqua sotto i ponti, e ad oggi il gioco è più perfezionato che mai, vantando espansioni più che corpose, abbandonando del tutto le incertezze tecniche che contraddistinguevano le prime build del gioco realizzate in flash.
Tra acqua santa, pentacoli, cacche, cacchine, cacchette e cacche dorate, The Binding of Isaac offre un quantitativo di contenuti a dir poco spropositato e si configura come uno di quei classici giochi che “ancora una e poi smetto”. Il livello di sfida è piuttosto elevato ma la soddisfazione che ne deriva una volta padroneggiato è ineguagliabile.
Se non lo avete mai giocato recuperatelo al più presto nella sua versione “Rebirth” (e già che ci siete investite qualcosa anche nei DLC Afterbirth e Afterbirth+), se vi piace il genere e le atmosfere politicamente scorrette, lo adorerete.


Immagini allegate:

La rubrica

Una rubrica dedicata a quelle produzioni indie che non cercano in alcun modo di ricalcare le esperienze già tracciate dai giochi "canonici", ma si inerpicano per nuovi percorsi, spesso tralasciando in parte o totalmente il puro gameplay in favore di un messaggio finale che il gioco vuole trasmettere. Insomma, quando il gioco non è solo un gioco, ma vera e propria arte videoludica. In pochi possono capire fino in fondo determinati titoli e concentrarsi esclusivamente su ciò che vogliono suscitare, indipendentemente da grafica e gameplay... bene, questa rubrica è tutta per voi.

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