Il CEO di EVE Online sperava che la realtà virtuale si diffondesse maggiormente


Nonostante sia un titolo risalente addirittura al 2003, EVE Online è stato per molto tempo uno degli MMORPG in assoluto più avanzati rispetto ai tempi che la storia videoludica ricordi e, per certi versi, è possibile notare alcuni aspetti di esso che ancora oggi riescono a sorprendere per la loro visione di lungo periodo.
Un’attitudine del genere non è però nata dal nulla e, anzi, è sempre stata un diretto riflesso della stessa voglia di sperimentare e di innovare (ed innovarsi) propria del team di sviluppo, quel CCP Games che, nel corso degli anni ha tirato fuori dal cilindro diversi progetti ambiziosi ed interessanti, alcuni dei quali sfortunatamente non sopravvissuti alle leggi del mercato, talvolta fin troppo conservative.

Sia come sia, CCP Games è stata molto attiva anche sul versante della realtà virtuale, settore in cui, forte della convinzione che il mercato ad essa correlato sarebbe cresciuto esponenzialmente, lo sviluppatore ha investito parecchio.
Purtroppo, però, le cose sono andate diversamente e, ad oggi, la VR è ancora ben lungi dall’essere quel fenomeno di massa che molti si aspettavano sarebbe diventata.
A constatare, amaramente, questo concetto è stato direttamente Hilmar Veigar Pétursson, ossia il CEO di CCP Games, che ha dichiarato chiaramente come le cose non siano andate come avrebbe sperato:

"Ci aspettavamo che, durante quel periodo, la VR diventasse due o tre volte più grande di quanto poi non sia stata. Non puoi costruire un business su questo. "

È indubbio che tutto questo è stato un duro colpo per lo sviluppatore, che si è ritrovato necessariamente costretto a mandare in dismissioni la quasi totalità dei progetti VR in lavorazione, addirittura chiudendo diversi studi di sviluppo dedicati.
Come dichiarato dallo stesso Pétursson, l’ultima speranza è ora rappresentata da Oculus Quest, il nuovo visore di Oculus che, pur optando per un ridimensionamento deciso delle prestazioni, permetterà di fruire di contenuti in realtà virtuale in autonomia, senza essere dipendenti da un hardware costoso.
Secondo Pétursson, questa così debole barriera d’ingresso potrebbe permettere la diffusione di tale tecnologia su larga scala, riaccendendo l’entusiasmi verso la VR e permettendo così di riconsiderare l’eventualità di sviluppare qualche progetto dedicato. Al momento, tuttavia, questa è ancora un’ipotesi tutta da dimostrare.

Voi cosa ne pensate di queste dichiarazioni? Pensate che la realtà virtuale abbia semplicemente bisogno di più tempo prima di attecchire definitivamente sul grande pubblico o ritenete che non ci sia speranza di venderla alle masse? Fateci sapere cosa ne pensate!

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