Una Gabbia che sognava la libertà: The Stanley Parable


Stanley è un impiegato come tanti. Chiuso nella solitudine del suo ufficio, siete di fronte al monitor del suo computer.
Lo schermo, nel suo imperscrutabile nero, rigurgita ordini in merito a quali tasti deve premere il nostro Stanley, il quale obbedisce senza batter ciglio.
La routine di Stanley si ripete da anni, probabilmente dal primo giorno in cui mise piede in quell’ufficio. Stanley è felice.

Un giorno tutto finisce: il computer da cui Stanley aveva sempre ricevuto ordini tace e tutto il personale dell’azienda in cui l’impiegato aveva sempre lavorato sembra scomparso nel nulla.
Da quel momento, noi saremo Stanley, in una parabola che metterà le nostre decisioni davanti ai nostri occhi, le sgretolerà brutalmente e ci renderà palese quanto la nostra presunta libertà da videogiocatori non sia altro che un effimero inganno azionato dalla mano onnipotente degli sviluppatori.

The Stanley Parable si prende gioco di noi, e lo fa spudoratamente, sin dai primi istanti che passeremo in sua compagnia.
È come se fosse il gioco a giocare con noi, in una sorta di schizofrenia di scatole infilate una dentro l’altra, fino a quando queste diventano talmente piccole da essere impossibilitati ad aprirle. La stessa schermata d’avvio è piuttosto iconica nel rappresentare ciò, visualizzando sul nostro schermo un computer/matriosca nel quale è presente uno schermo, sopra il quale ne è visibile un altro, e un altro ancora, e un altro ancora…

Per farla breve, più che un gioco, The Stanley Parable è il mezzo perfetto per destrutturarne uno.
Quante volte ci è capitato, in un determinato titolo, di vederci promettere quella presunta libertà che ci avrebbe dato in mano le redini del gameplay?
Dalle incisive e determinanti scelte di Geralt di Rivia fino al complesso e stratificato sistema di affiliazioni di Vampire: The Masquerade, dall’esorbitante numero di sfumature presenti in Heavy Rain fino alla possibilità di fare il doppio (se non il triplo o quadruplo) gioco in Fallout New Vegas.
Vivi un’altra vita in un altro mondo” è sempre stato il motto della saga di The Elder Scrolls: dinnanzi a tutto ciò, il narratore di The Stanley Parable deve essersi fatto delle grasse risate.

Se esaminati sotto il giusto punto di vista, persino giochi come The Sims o Little Big Planet, che sono praticamente fondati per intero sugli editor messi in mano ai giocatori, crollano miseramente se posti davanti alla tediosa questione di quello che ha tutta l’aria di essere una sorta di libero arbitrio videoludico: un inganno, nella realtà come nei videogames.
Non importa quante strade ci siano, quanto siano lunghe e quanti bivi portino con sé. Non importa nemmeno se sia presente la possibilità di abbandonarle, per vagare (apparentemente) senza metà in sterminati paesaggi fatti ora di sterrato, ora di immense praterie, ora di imperscrutabili distese di acque digitali. Che si tratti di 10 centimetri o di 10.000 chilometri quadrati, un recinto è sempre un recinto e al di là di esso, tolta l’immaginazione, vi è il nulla.
Non si esce dai binari. Mai.

La parabola di Stanley sta tutta qui. Il giocatore è parte integrante della struttura di gioco, di qualsiasi gioco, ma è un fantoccio, una pedina, uno spettatore passivo in cui, contrariamente a quanto avviene nel cinema, viene sedotto e convinto di avere un ruolo di primo piano nei fatti mostrati a schermo ma, come se ci trovassimo davanti ad una sorta di Truman Show fatto di texture e poligoni, ogni cosa è studiata in anticipo per indirizzare l’utente in una determinata direzione. Direzione che non deve essere per forza di cose quella “giusta”, che porta ad un nuovo livello, ad un punto di svolta o ad un proseguo dello scorrere degli eventi. Paradossalmente, anche un game over è assimilabile ad un traguardo, ad un arrivo, perché ogni situazione realizzabile, dalla migliore alla peggiore, possiede coordinate proprie stabilite a priori, ben definite sull’immenso reticolato che porta lo stesso nome del gioco di turno.

Non si esce dai binari. Mai…o quasi. Perché in realtà un modo esiste. Sfuggire all’occhio e alla mano di Dio può essere possibile e, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, non è un qualcosa di astratto, mentale o filosofico.
Il mero uscire dal gioco, ipotizzato da alcuni come l’unico e vero strumento impugnabile dal giocatore per “vincere” sul codice, è una non-soluzione, che suona più come una tregua che non come una vittoria.
L’unico modo concesso all’utente per sconfiggere il tiranno, a nostro modo di vedere, è sostituirsi ad esso, acquisendo il suo stesso potere e sconfiggendolo sul suo stesso campo di battaglia; come? Semplice! Creando da sé la propria porzione di gioco e integrandola a quella proposta dal precedente Dio/sviluppatore.

In una sola parola: mod!

Badate bene, scaricare e giocare una mod creata da qualcun altro non cambia le cose. Per spezzare l’inganno dovrete essere contemporaneamente i creatori e i fruitori di tale contenuto, divenendo una sorta di divinità di voi stessi, in una peculiare situazione in cui gli scenari attuabili e possibili sono si prestabiliti anche in questo caso, ma perlomeno ipotizzati da voi stessi, che sarete sempre liberi di rimettere mano al codice e plasmarlo nuovamente.

È piuttosto ironico, alla luce di ciò, che prima di diventare un progetto stand alone, adattato al Source Engine con tutte le migliorie tecniche del caso, The Stanley Parable fosse proprio una mod, una delle tante spuntate per il sempreverde Half Life.
È quindi con un sorriso beffardo che ci sentiamo di definire la parabola di Stanley: un tiranno che nacque dalla scintilla della più profonda ribellione.


Immagini allegate:

La rubrica

Una rubrica dedicata a quelle produzioni indie che non cercano in alcun modo di ricalcare le esperienze già tracciate dai giochi "canonici", ma si inerpicano per nuovi percorsi, spesso tralasciando in parte o totalmente il puro gameplay in favore di un messaggio finale che il gioco vuole trasmettere. Insomma, quando il gioco non è solo un gioco, ma vera e propria arte videoludica. In pochi possono capire fino in fondo determinati titoli e concentrarsi esclusivamente su ciò che vogliono suscitare, indipendentemente da grafica e gameplay... bene, questa rubrica è tutta per voi.

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