La Storia di un Mondo Sospeso nel Chiaroscuro: LIMBO


Limbo è un platform; un platform a scorrimento orizzontale in cui è particolarmente marcata la componente puzzle, che costella i livelli di enigmi ambientali da risolvere con parti uguali di ingegno e tempismo.
Una definizione, quella appena data, che pur essendo corretta è assolutamente incapace di descrivere quel che LIMBO è e rappresenta.
Una sintesi limitante ma quanto mai necessaria per presentare e, quindi, archiviare l’aspetto più prettamente ludico ma al contempo banale della produzione.

Infatti, se è vero che il gameplay di LIMBO è ben fatto e congegnale a restituire un feedback appagante, sia nella soddisfazione di aver risolto un puzzle (tutti ingegnosi ma mai particolarmente complessi) sia nel brivido di aver azzeccato il momento giusto per un salto, questo acquisisce un valore del tutto diverso quando osservato assieme al mondo in cui ci si muove. Mondo che oltre al paesaggio, comprende anche i pericoli da cui è composto e gli esseri che lo popolano, protagonista compreso.

L’aspetto narrativo nell’opera di Playdead è contemporaneamente predominante quanto risibile, perché al netto di un simbolismo onnipresente, vera e propria chiave rivelatrice dell’intero intreccio, gli elementi forniti al giocatore per ricomporre gli eventi saranno veramente pochi, costringendolo a tirare le somme su una vicenda costruita per metà sui pochi indizi che saprà cogliere durante la prima partita e, per l’altra metà, sulle suggestioni recapitategli dall’inizio del gioco ai titoli di coda, in cui sarà impossibile non avere la sensazione di essersi persi o di non aver compreso qualcosa.

Il contatto con la morte è una tematica centrale in LIMBO


La verità è che conclusioni univoche in LIMBO non ce ne sono e che il sottotesto generale del titolo è da ricercare unicamente nella propria interpretazione e sulla base delle proprie inclinazioni personali.
Tutto ciò che è dato sapere al giocatore è che il bimbo che si troverà a controllare è entrato nel Limbo che dà il nome al gioco sulle tracce della sorella. Punto. Il resto sarà messo nelle mani della nostra interpretazione.
L’identità del protagonista, di quella della sorella, la loro condizione (sono vivi? Sono morti? Uno è vivo e l’altra è morta o viceversa?), il significato intrinseco del luogo in cui si trovano e la sua natura (metafisica o terrena) non saranno esplicitati in nessun modo, nemmeno dagli sviluppatori, dediti al silenzio su qualsiasi ambito inerente questo aspetto del gioco.

Avviata una nuova partita, assisteremo al risveglio del bimbo protagonista, che si ritroverà in un mondo cupo e tetro, vagamente etereo ma da cui, vuoi per l’aspetto del protagonista stesso vuoi per l’incanto e (l’apparente) quiete con cui è tratteggiato ogni ambiente, è possibile cogliere delle fondamenta quasi fiabesche, capaci di filtrare persino tra le fitte tonalità di nero e bianco che non lasciano comunque dubbi sull’effettiva direzione generale delle atmosfere di gioco.
Oltrepassati i primi momenti, carichi di un’aura magica e trasognante, ci accorgeremo immediatamente di quanto il mondo di LIMBO sia in realtà spietato e crudele o, meglio, semplicemente indifferente e libero da qualsiasi preconcetto morale.
La riprova di ciò è lampante nel modo in cui affronteremo gli ostacoli e da come ci rapporteremo con quanti ci troveremo ad interagire.
Ci capiterà di fuggire da pericolosi ed enormi ragni intenti ad ucciderci, e non ci faremo scrupoli ad infliggere loro il colpo di grazia (con tanto di estrazione dell’ultimo arto rimastogli) quando il loro corpo morente sarà l’unica cosa che potremo sfruttare per raggiungere un’altezza altrimenti inarrivabile.
Proveremo pena per i cadaveri che troveremo sparsi qua e là, eppure sfrutteremo le loro carcasse galleggianti per superare un immenso specchio d’acqua.
Un corpo impiccato ci farà provare lo sconforto della solitudine, ingannandoci per un attimo di aver trovato un compagno di viaggio. Un altro corpo impiccato, invece, ci farà rallegrare della morte capitata a qualcun altro, perché servirsi della putrida carcassa sarà l’unico modo per attivare e disinnescare una trappola altrimenti riservata a noi.

Raggelante malinconia.


C’è un qualcosa, all’interno dell’intero viaggio che compiremo, che sembra volerci suggerire a tutti i costi di andare al di là del banale concetto di giusto e di sbagliato, di bene e di male.
Quella che parte quasi come se fosse una favola fanciullesca dai toni dark e gotici, quasi a là Tim Burton per intenderci, dove i toni scuri adottati sembrano una precisa scelta stilistica a cui si abbina un notevole estro artistico, finisce per disilludere completamente il giocatore, immergendosi, e trasportando con sé l’utente, in un abisso pessimista e intriso di nichilismo, da cui è impossibile fuoriuscire se non irreparabilmente macchiati.

Non c’è pietà in LIMBO. Ogni minaccia è la rappresentazione fisica di un preciso flagello mentale che, divenuto materia, attanaglierà il bimbo con tutta la sua carica di crudeltà.
È incredibile quanto una semplice silhouette nera sia in grado di trasmettere dolore e fastidio grazie ad animazioni semplici ma quanto mai efficaci.
Il protagonista affogherà, verrà trafitto, dilaniato, schiacciato da presse idrauliche, mitragliato e spezzato dal peso della gravità. Persino una caduta, per come è rappresentata, riesce ad essere brutale.
Una violenza, che include spesso e volentieri anche smembramenti e teste mozzate, in grado di disincantare all’istante il giocatore ogni qual volta dovesse (ri)cadere nel tranello di pensare di trovarsi davanti ad un’opera romanticamente poetica.

Il consiglio, una volta terminata l’avventura, che non vi porterà via più di 3-4 ore, è quello di cercare in rete le varie interpretazioni che sono state fornite del gioco.
Benché non manchino quelle che potrebbero essere definite come “buone” o “a lieto fine”, diverse di queste vi faranno riflettere su aspetti che potreste non aver considerato, portandovi a conclusioni oscure almeno tanto quanto i bellissimi sfondi con cui è piastrellato il gioco.


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La rubrica

Una rubrica dedicata a quelle produzioni indie che non cercano in alcun modo di ricalcare le esperienze già tracciate dai giochi "canonici", ma si inerpicano per nuovi percorsi, spesso tralasciando in parte o totalmente il puro gameplay in favore di un messaggio finale che il gioco vuole trasmettere. Insomma, quando il gioco non è solo un gioco, ma vera e propria arte videoludica. In pochi possono capire fino in fondo determinati titoli e concentrarsi esclusivamente su ciò che vogliono suscitare, indipendentemente da grafica e gameplay... bene, questa rubrica è tutta per voi.

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